Associazione Culturale Orchestra Crescendo

Questo nostra produzione dell’Orfeo ed Euridice di Gluck è il punto di arrivo di un ambizioso progetto ideato e curato da noi dell’Orchestra Crescendo. L’idea è stata quella di coinvolgere nella realizzazione i cittadini di Gorgonzola e della Martesana che avessero desiderato prendervi parte, indipendentemente dalle proprie esperienze musicali e teatrali. 

Tra coloro che con entusiasmo, curiosità e coraggio hanno accolto la proposta, c’è chi si è unito all’orchestra o al coro, chi danza, recita e chi ha realizzato scenografie e costumi. Sotto la guida di Elisa Pezzi e Judit Földes circa 70 persone, tra i sei e i settant’anni, hanno lavorato insieme con enorme impegno per dare vita a questo capolavoro della storia della musica.


Per rendere possibile la partecipazione di tutti, abbiamo operato delle semplificazioni riguardanti l’opera. Abbiamo dovuto trasformare in parti recitate quelle che erano le parti cantate dai solisti, così come affidare lo stesso personaggio a diversi interpreti in successione. Abbiamo rispettato invece il più possibile la parte orchestrale (adattandola all'organico della nostra orchestra), molti dei cori e, ovviamente, la trama originale.


Il lavoro è durato mesi, organizzato nei dettagli secondo moduli e in gruppi che, settimana dopo settimana, hanno interagito sempre di più fino a giungere a quell'unità che permette all'opera di essere messa in scena. Lungo il cammino tutti i timori sono svaniti per lasciare posto all’entusiasmo e all’emozione. Si tratta dunque, questa, di un'esperienza unica sia nella forma che nella sostanza.


L’Orfeo ed Euridice di Gluck appartiene al genere dell'azione teatrale in quanto opera su soggetto mitologico, con cori e danze. Rappresentata per la prima volta a Vienna il 5 ottobre 1762, su impulso del direttore generale degli spettacoli teatrali conte Giacomo Durazzo, aprì la stagione della cosiddetta riforma gluckiana, con la quale Gluck e il livornese Calzabigi intesero semplificare al massimo l'azione drammatica che aveva raggiunto, con l’opera seria italiana, eccessi di complessità e difficoltà.


Dodici anni dopo, Gluck la rimaneggiò per adeguarla agli usi e gusti musicali di Parigi dove, il 2 agosto 1774, al Palais-Royal, vide la luce Orphée et Euridice, con libretto in francese, molta musica nuova e più spazio dato alle danze.


L'opera è la più famosa tra quelle composte da Gluck e, in entrambe le edizioni, è una delle poche opere settecentesche, se non addirittura l'unica non mozartiana, a rimanere fino ad oggi in repertorio nei principali teatri lirici del mondo.

Il mito greco di Orfeo e Euridice ha nei secoli affascinato poeti, scrittori e musicisti. È una tra le più commoventi storie d’amore in cui il mito, in quanto tale, non solo “racconta” ma conduce noi fin nel profondo dell’animo umano. 


Orfeo, musicista la cui arte riesce a incantare e ad ammansire persino le più feroci belve, distrutto per la morte della sua sposa Euridice decide di scendere nell’Ade per riportarla nel mondo dei vivi. Giove acconsente, ma gli pone una condizione…

Christoph Willibald Gluck (1714 - 1787)


Orfeo ed Euridice 


Azione teatrale su libretto di Ranieri de’ Calzabigi (1714 - 1795)

Adattamento a cura dall’Associazione Culturale Orchestra Crescendo

TRAMA dell’opera


Un coro di ninfe e pastori si unisce ad Orfeo attorno alla tomba di Euridice, sua sposa, ed intona un solenne lamento funebre, mentre Orfeo invoca il nome di lei. Rimasto solo, Orfeo canta la sua disperazione. 

Amore appare in scena e dice ad Orfeo che gli Dei, impietositi, gli concedono di discendere agli inferi per riportare la sposa con sé alla vita, ponendogli però una condizione: non dovrà rivolgerle lo sguardo finché non saranno ritornati in questo mondo, pena il perderla per sempre. 

Amore incoraggia Orfeo e lo invita a farsi forza. Orfeo decide di affrontare la prova.


In un oscuro luogo di caverne rocciose, mostri e spettri dell’aldilà rifiutano di far entrare Orfeo, in quanto persona vivente, nel mondo degli inferi, invocando contro di lui "le fiere Eumenidi” e “gli urli di Cerbero”, il mostruoso guardiano dell’Ade (coro: “Chi mai dell'Erebo”). Quando Orfeo, accompagnandosi con la sua lira, si appella alla pietà delle creature degli inferi, egli viene dapprima interrotto da orrende grida di “No!”, ma poi esse, intenerite dalla dolcezza del suo canto, gli dischiudono i “neri cardini” delle porte dell'Ade. La scena si chiude con una “Danza delle furie”. La scena successiva si svolge nei Campi Elisi. Nella versione parigina, questo momento divenne la “Danza degli spiriti beati”, con una parte solistica per flauto. Orfeo è estasiato dalla bellezza e dalla purezza del luogo, ma non riesce a trovare sollievo perché Euridice non è ancora con lui. Implora quindi gli spiriti beati di condurgliela, cosa che essi fanno con un dolce canto. 


Sulla via per uscire dall’Ade, Euridice è dapprima felice del suo ritornare alla vita, ma poi non comprende l'atteggiamento del marito che rifiuta di abbracciarla ed anche solo di guardarla negli occhi. Non sa che a Orfeo non è permesso rivelarle le condizioni impostegli dagli Dei. Euridice quindi interpreta il comportamento di Orfeo come un segno di mancanza d'amore e rifiuta di procedere esprimendo l'angoscia che l’ha invasa. Incapace di resistere, Orfeo si volta a guardare la sua sposa e ne provoca così di nuovo la morte. Disperato, Orfeo canta l’aria più famosa dell’opera, “Che farò senza Euridice?”, e decide di darsi anch'egli la morte per riunirsi con lei nell'Ade. 


A questo punto però, deus ex machina, Amore riappare, ferma il braccio di Orfeo e, come premio per la sua fedeltà, ridona una seconda volta la vita ad Euridice. 


In un magnifico tempio dedicato ad Amore, i tre protagonisti e il coro cantano le lodi del sentimento amoroso e della fedeltà (“Trionfi Amore”).